In occasione delle celebrazioni del 2020 per il 500° anniversario della scomparsa di Raffaello…….
Appunti e spunti per la (ri)scoperta di Perin del Vaga: un artista in viaggio, dalla cerchia romana di Raffaello Sanzio, alla corte genovese di Andrea Doria ….e oltre.
“Il palazzo Doria è il re del golfo;a vederlo, sembra che sia per il piacere degli occhi di quelli che lo hanno abitato e che Genova sia stata così costruita ad anfiteatro……
basta levare gli occhi per vedere sopra il capo innumerevoli affreschi imitati dalle logge Vaticane e dipinti da Perin del Vaga, uno dei migliori allievi di Raffaello, che il “sacco di Roma” compiuto dai soldati del Connestabile di Borbone, fece fuggire dalla città santa.
A quell’epoca v’erano palazzi sempre aperti per il poeta o per l’artista che fuggiva. Perin del Vaga trovò il palazzo Doria sulla sua strada….. e pagò la sua ospitalità coprendo di capolavori i muri che gli offrirono un asilo.”
(Da “Impression de voyage”– Alexandre Dumas. 1841)
Era stato Andrea Doria a contattare Perin del Vaga perchè lavorasse nella villa/reggia di Fassolo.
“ll passaggio di Genova alla parte imperiale come ‘alleata’ doveva essere sottolineato anche visivamente con un adeguamento dell’attività artistica della città alla nuova situazione politica. Compito che fu assunto personalmente dal protagonista di questo rivolgimento, Andrea Doria, il quale, proprio in quegli anni, iniziò la trasformazione della sua villa di Fassolo, acquistata in parte fin dal 1521, in una vera dimora principesca. L’inevitabile.rinnovamento nell’iconografia della rappresentazione, in parallelo con la posizione di ‘parità’ politica raggiunta dal Doria nei suoi rapporti con Carlo V, coinvolse naturalmente anche le ‘forme’, anzi si può dire che i mutamenti stilistici e iconografici coincisero con l’evoluzione della situazione politica. Dal punto di vista artistico tuttavia tale programma era attuabile solo con l’immissione di forze nuove, provenienti da centri culturalmente più qualificati. Un fine programmatico era infatti alla base della chiamata a Genova di un artista come Perin del vaga, allievo e collaboratore di Raffaello, in grado di soddisfare l’esigenza del Doria di rendere più evidente ed efficace, attraverso le immagini, il proprio vedere”
Così scriveva Elena Parma Armani, nel suo saggio intitolato “La corte di Andrea Doria” che fa parte del volume”La pittura a Genova e in Liguria dagli inizi al Cinquecento” edito nel 1970 da Sagep. E sempre la Armani, in quel saggio aveva dedicato un capitolo alle “Incertezze della cultura locale verso gli apporti esterni “(ne cito qui qualche paragrafo):
“Il panorama della pittura ligure della seconda metà del Quattrocento e dei primi decenni del Cinquecento appare significativamente dominato da artisti ‘stranieri’; il Foppa prima, poi il nizzardo Ludovico Brea e il pavese Pier Francesco Sacchi, per non dire di una schiera di ‘minori’ in prevalenza lombardi.Provengono da fuori anche la pala di Filippino Lippi ( 1505)
per la cappella Lomellini in San Teodoro (ora a Palazzo Bianco) il quadro di Giulio Romano con la ‘Lapidazione di Santo Stefano “(1524 c.) tuttora nella chiesa di Santo Stefano”.
C’erano state anche alcune importanti presenze ‘straniere ‘ (d’Oltralpe): lo sviluppo dei rapporti commerciali e finanziari di Genova con le Fiandre aveva favorito, grazie anche all’insediamento in città fiamminghe – Bruges in particolare-di esponenti del mondo economico genovese,committenze ad artisti di quei territori; avveniva così che opere “straniere” potessero poi arrivare in chiese e dimore genovesi, e che alcuni artisti nordici avessero occasione per essere chiamati a Genova per realizzare dipinti o affreschi. L’Alizeri nel 1870,scriveva infatti che un certo Alessandro di Bruges aveva lavorato, nel 1408, a Genova; e come non citare qui quel Giusto di Ravensburg (detto anche Giusto d’Allemagna) che nel 1451 aveva realizzato- e firmato e datato- nel chiostro di mezzo della chiesa di Santa Maria di Castello quel mirabile affresco dell’Annunciazione che, per certe innovazioni iconografiche, attrasse a lungo la curiosità e l’interesse dei pittori locali?
Comparivano qua e là,nel corso dei decenni, presenze e opere di artisti fiamminghi: tanto per citarne alcuni: Gerard David, Jan Provost, Adriaen Ysenbrant, Joos van Cleve ( tra le sue opere, la splendida Adorazione dei Magis realizzata entro il terzo lustro del XVI secolo, committente Stefano Raggi- che si può ammirare a Genova nella chiesa di San Donato).
“Straniero” (italico sì, ma non ligure”) era anche quel Gerolamo da Treviso – nato nel 1498 c.-che era entrato a Bologna in contatto con scultori raffalleschi impegnati a lavorare per una delle porte della Chiesa di San Petronio;secondo il Vasari Gerolamo lavorò , intorno al 1527/28, nella residenza del Doria a Fassolo e precisamente al prospetto sud; ma nell’estate 1529 era tornato a Bologna, per poi accettare incarichi in altre località ed infine recarsi, al servizio di Giorgio III, in Inghilterra e di conseguenza poi , nel 1544,morire durante l’assedio di Boulogne.
Il XV secolo non era stato, per Genova, un secolo d’oro: nel 1453 era caduta in preda ai turchi Costantinopoli, strategica porta del Bosforo e dunque del Mar Nero e relative coste e dintorni e rotte commerciali per l’Oriente prossimo e non;nel 1474 Genova perse anche Caffa, ultima colonia rimastale da quelle parti…e in città le cose non andavano sempre benissimo:nella seconda metà del secolo c’era stata una crisi politica, con il dogato in alternanza a dominii esterni (dei Visconti, della Francia, degli Sforza), nel primo ventennio del XVI secolo altre luci e ombre (nel 1507 era tornato in armi a Genova in città Luigi XII re di Francia, sostenendo che voleva imbrigliare i genovesi; il Doge dei popolari- Paolo da Novi, anima della rivolta “delle Cappette”- era stato giustiziato proprio davanti al Palazzo Ducale; s’innestavano e/o rinverdivano germi di lotte intestine tra famiglie importanti;c’era da fare i conti (in senso anche- e soprattutto – finanziario)con il crescente, dopo la scoperta del Nuovo Mondo, spostamento dei commerci e dell’imprenditoria marittimo finanziaria dal tradizionale bacino Mediterraneo all’oltreoceano Atlantico…e la Repubblica di Genova, in quel periodo difficile spesso soggetta o assoggettatasi a dominii esterni, non poteva contare su un entroterra esteso di spazi veramente propri (a differenza della Repubblica di Venezia, che in più poteva vantare effettiva indipendenza,vivacità culturale, attività crescente di artisti nativi del suo territorio; di Firenze, dove i Medici nel corso del XV secolo e oltre avevano attratto memorabili personalità della cultura e dell’arte, e basti qui citare Michelangelo; di Roma,dove attorno al Papa e alla sua corte- e a nobiltà e finanza correlate- gravitavano personalità artistiche di spicco.
Insomma, qua e là, nel XV secolo e poco oltre, c’erano stati frequenti motivi perchè Genova – razionalmente-non potesse talvolta dar di se stessa l’immagine di una Repubblica davvero sempre indipendente: a evidenziar ciò, basterebbe una miniatura del “Voyage de Genes” di Jean Marot intitolata “Genova piange: l’onta della sottomissione accomuna mercanti e popolo”…..
Ma a conferma del detto“Genuense ergo mercator”, esponenti dell’economia locale e loro diramazioni estere avevano fatto nascere a Genova una sorta di stato nello stato finalizzato a tutelare – e possibilmente ad incrementare- i propri interessi, mettendoli al riparo dalle instabilità del governo cittadino: nel 1407 vennero istituite “Le compere di San Giorgio “ (poi Banco, ma sempre intitolato al Santo designato come Protettore della Repubblica); questo soggetto privatistico”che era ad un tempo un istituto di credito,cassa di deposito, appaltatore di contribuzioni, era anche un corpo politico, uno Stato,poichè ebbe in vario tempo, o per acquisto diretto o per cessione temporanea,signor su Sarzana, Castelletto, Ventimiglia ed altre terre delle riviere, sulle colonie del Mar Nero e sull’isola di Corsica”
(da “Storia di Genova, Dalle origini ai giorni nostri”. Federico Donaver & AA.VV. Nuova Editrice Genovese.2010)
Occorse però attendere il 1528 per poter assistere ad un drastico “cambio di scena”nel vasto teatro politico/socio-economico/finanziario della Repubblica genovese il cui Senato, di conseguenza,volle dedicare al deus ex machina/regista di quell’evento il ligure Andrea Doria, acclamato “Liberatore della Patria”,un palazzo situato in quella Piazza San Matteo che era delimitata, fin Medioevo,dalle dimore e dalla chiesa gentilizia dei Doria; il palazzo- caratterizzato dal paramemto litotomico bianco/nero, da fregi, da bifore trilobate, dal portale in marmo a candelabre- era stato fatto erigere nel 1468 da Lazzaro Doria,a brevissima – non casuale- distanza dal Ducale e dalla Cattedrale; ma Andrea Doria non l’elesse a propria dimora e nella piazza avita di famiglia ci tornò stabilmente solo post mortem…e comunque non prima di aver fatto rinnovare – su progetto di G.A. Montorsoli e poi di G.B. Castello il Bergamasco -l’interno della chiesa ( fondata nel 1125 era stata riedificata nel 1278) e farsi realizzare,nella cripta, una tomba adeguata a tramandare nel tempo la memoria di se stesso..e sopra quel tomba venne pure posizionata la spada che gli era stata donata, negli anni 40 del sec.XVI, da Papa Paolo III(Alessandro Farnese).
E giusto a proposito di Papi…Andrea Doria era stato , sotto il papato di Clemente VII (nato Giulio Zanobi di Giuliano de’ Medici, di cui era figlio naturale e pertanto nipote di Lorenzo il Magnifico), comandante delle navi pontifice; aveva sposato Peretta Usodimare( vedova di Alfonso I Del Carretto non ebbe poi figli dal Doria, che adottò il figliastro Marcantonio) che era nipote di di Papa Innocenzo VIII ( della famiglia genovese Cybo). I contatti diretti e non del Doria con esponenti delle “ corti” medicee e papaline, e non solo- e dell’immagine da essi accuratamente coltivata e proposta- erano dunque più che presumibili.
Quando Andrea Doria- che già conosceva bene l’Urbe- optò per la sinergia con l’imperatore Carlo V, era in carica dal 1503 un altro ligure: Giuliano della Rovere=Giulio II( nato nel 1443 ad Albisola, morì a Roma nel 1513).il quale aveva dato ben più di una prova del voler tenere all’immagine propria e, di conseguenza, della città fulcro del suo potere temporale…e se non a caso venne a meritarsi la nomea di “papa guerriero”, si potrebbe dire che seppe usare bene anche gli artisti e il loro operato come dimostrazioni di forza:tanto per dare un’idea,già nel 1503 aveva chiamato a Roma Donato Bramante, poi affidato incarichi di gran spicco a Michelangelo(tra cui la Cappella Sistina)e a Raffaello, e a tanti altri (tra i quali Pietro Vanucci detto Il Perugino, Baldassarre Peruzzi, Bartolomeo Suardi detto il Bramantino, Giovanni Brazzi detto il Sodoma,Lorenzo Lotto..e ovviamente per questa o quella grande opera di certi grandi maestri erano attivi anche i loro collaboratori; tra questi, un tale Perin del Vaga della bottega raffaellesca, e che aveva avuto pure l’occasione di conoscere de visu quanto Michelangelo stava compiendo nella Cappella Sistina…
Insomma, mentre altrove era sbocciato già all’inizio del XV secolo e via via fiorito alla grande e fruttificato nei successivi decenni il Rinascimento, Genova e in generale il territorio ligure erano rimasti alquanto in disparte; finchè,sul finire del secondo decennio del XVI secolo i prodotti del Rinascimento vi approdarono trovando interesse diffusione: ed erano espressione di un Rinascimento tardo,già permeato di Manierismo.
In questo “approdo”decisamente strategico fu il ruolo di Andrea Doria
”Per la costruzione A.D. chiama artisti famosi:all’opera di Perin del Vaga sono riconducibili con certezza lo straordinario ciclo di affreschi, il disegno del portale nord(che tanta fortuna avrà nell’evoluzione tipologica dei portali genovesi del Rinascimento) e la progettazione delle sculture decorative(camini, fontane) eseguite da Silvio Cosini. Perduta la decorazione ad affresco del fronte meridionale, con soggetti ispirati alle storie di Giasone (Perin del Vaga, Antonio Pordenone, Domenico Beccafumi), non fu mai realizzata invece quella del prospettiva a monte,di cui rimangono i disegni di Perino”(dalla scheda di: Giulio Sommariva in“Genova. Guida di architettura” – Umberto Alemanno & C S.r.l. Torino -1992)
Ma chi era quel Perin del Vaga che
“ A differenza dei colleghi della cerchia raffaellesca per una fantasia più accesa, per un fare più estroso e nizzardo ,per quel suo stile corsivo deformato entro moduli di esasperata eleganza ben presto si allontanò dal raffaellismo più statico e classicheggiante”(cfr:Giuliano Briganti)?
Nato a Firenze nel 1501, morì a Roma nel 1547:casuale coincidenza con l’anno in cui il suo gran committente -A.Doria – potè rafforzare ulteriormente il proprio potere grazie al fallimento della congiura dei Fieschi…per cui la villa/reggia doriana di Fassolo, nella quale Perino s’era tanto dedicato a celebrare le glorie passate e presenti dei Doria ,accrebbe ancor più lo splendore e mantenne nel tempo la memoria di Perino e degli artisti che, operando personalmente con lui o entrando successivamente in contatto con suoi collaboratori o epigoni, diffusero sul territorio genovese il “manierismo”. Perino aveva undici anni quando ,nella città natìa, fu avviato alle arti dal pittore Andrea di Ceri che a sua volta lo indirizzò alla bottega di Ridolfo di Domenico Ghirlandaio; quel giovinetto promettente (secondo il Vasari Perino collaborò anche al cartone della “Battaglia di Cascina”di Michelangelo) venne poi affidato ad un pittore romano detto “il Vaga” col quale potè, a Roma, conoscere G. Francesco Penni (di cui, nel 1525, sposò la sorella Caterina)e Giulio Romano e nel 1516 entrare a far parte della bottega di Raffaello e lavorare anch’egli, sotto la direzione di Giovanni da Udine, alle Logge Vaticane. A Roma ricevette altri incarichi, nel 1523 tornò a Firenze dove ebbe modo di conoscere altri artisti(tra i quali Jacopo Carucci detto Il Pontormo e Rosso Fiorentino);era poi tornato a Roma -dove lavorò ancora per la Sala dei Pontefici e concluse la decorazione della Cappella Pucci a Trinità dei Monti-con moglie e figlia; ma quando nel 1527 la città fu preda dei mercenari Lanzichenecchi (il “Sacco di Roma) venne imprigionato, dovette pagare un cospicuo riscatto e ,conseguentemente, affrontare difficoltà economiche e penuria di incarichi: il “Sacco” aveva picchiato duro sulla finanza locale, la situazione politica era instabile,le committenze scarse, sicchè tanti artisti – fu una sorta di diaspora- in quel periodo difficile lasciarono la città : tra quelli della cerchia di Raffaello, citiamo Rosso Fiorentino, Polidoro da Caravaggio, Francesco Primaticcio detto Il Bologna, Giovanni Nani detto Giovanni da Udine, Niccolò dell’Abate, e pure Perin del Vaga ; al quale, nel 1528, era giunta- tramite il suo ricamatore Nicolò Veneziano- una proposta decisamente attrattiva:l’aspirante committente era nientemeno che il potente Andrea Doria, fresco di alleanza con l’Imperatore Carlo V (sì, proprio quello che aveva fatto arrivare i Lanzichenecchi a Roma:Perino non aveva certo potuto prevedere di dover ben presto progettare per Carlo V, ospite del Doria , un apparato trionfale!….).
Il Doria infatti voleva affidare a Perino il progetto e la decorazione, ad affresco e a stucco , della villa di Fassolo. In effetti la decorazione della facciata sud era già stata avviata nel 1527/28 da Gerolamo da Treviso – artista che a Bologna aveva potuto conoscere certi scultori raffaelleschi: lavoravano ad una porta della chiesa di San Petronio- ma la sua permanenza a Genova non era durata molto.Il Doria era- diremmo oggi- abilissimo nel marketing di se stesso e della Repubblica da lui organizzata…“ La dimora di Fassolo è certo segno ed emblema della sua carriera e del suo ruolo.L’organizzazione della grande proprietà, estesa dalla collina di Granarolo al mare,si articola in realtà nell’arco di un secolo, dai primi acquisti e terreni e di edifici da parte di Andrea Doria nel 1521, alla definitiva immagine data all’intero complesso dal nipote Giovanni Andrea, con lavori protrattisi fino all’inizio del XVII secolo”
(da “Il tempio di Venere. Giardino e villa nella cultura genovese”. Lauro Magnani. Sagep editrice, Genova. 1988)
E Perino , memore di quanto fatto, visto fare, e intuito- soprattutto a Firenze e Roma, riusciva a fissare in forme e colori e progetti gli obiettivi del suo committente, con soddisfazione reciproca:
nel perduto affresco del“Naufragio di Enea”( il disegno originale è a Parigi nel Gabinetto Disegni e stampe del Louvre) Nettuno simboleggia il Doria;nella “Lotta fra dei e giganti” Giove simboleggia Carlo V: altri affreschi evocavano le gesta memorabili di personaggi dell’antica Roma suggerendo richiami a quelle dei Doria (i Tronfi militari, la Loggia degli Eroi …); nella decorazione di alcune stanze aveva tratto spunto dalla mitologia greca Psiche) e dai classici romani; il portale d’ingresso ”fatto secondo i disegni e i modelli di mano del Perino”scriveva il Vasari che citava pure le “stanze lavorate a stucco in fresco con le più belle favole di Ovidio”e altre stanze; aveva fatto un progetto per la decorazione della facciata nord (ce ne restano due disegni: uno al Museo Condè di Chanti Amsterdam);in quanto alla facciata sud Perino, oltre a proseguire il fregio del Pordenone ,si dedicò alle “Storie di Giasone alla conquista del vello d’oro”(un riferimento al Toson d’oro che il Doria ebbe da Carlo V?), sequenza poi completata dal Beccafumi;inoltre,coi suoi collaboratori, si occupò di arredi,stendardi,costruzioni effimere erette per salutare la visita di personalità di gran spicco (Carlo V in primis)
“Perino , con la sua equipe di collaboratori, è autore dell’intero apparato decorativo del nucleo originario della villa, riconosciuto dalla critica come uno dei cicli di affreschi migliori e più completi della prima metà del XVI secolo in Italia.Il ciclo, fortemente omogeneo, fu avviato nel 1529 e completato,per quanto concerne per intero, nel 1533.L’apparato decorativo periniano segnò un momento di passaggio fondamemtale per la storia dell’arte introducendo in città il linguaggio artistico del Rinascimento”( dal sito :www.doriapamphilij.it)
Tra un lavoro e l’altro nella villa del Doria , Perino realizzò a Genova altre opere:
il Polittico di Sant’Erasmo (è nel museo dell’Accademia Ligustica di Belle Arti, Genova) ,la Pala Basadonne ( è nella National Gallery di Washington),il Polittico di San Michele Arcangelo (è nella chiesa di San Michele , Celle Ligure),la Pala per la chiesa conventuale di San Francesco di Castelletto (è nella chiesa di San Giorgio, Genova/Bavari),il Compianto sul Cristo morto (è nella chiesa di N,S. della Consolazione, Genova)e alcune altre, scomparse, ad affresco.
Nel 1536 Perino ( cfr. Archivio civico, Atti del Comune,M.Labò, 1912,pag. 39) era indicato tra i Consoli dell’Arte:” Magister Antonius de Rocha et Petrus de Vaga Bonacorsi”; poi
nel 1537 dopo una breve soggiorno a Pisa, tornò a Roma dove ebbe incarichi da vari committenti- tra cui Paolo III Farnese e il di lui nipote – lavorò nella Stanza della Signatura in Vaticano, in alcune chiese ( tra le quali-coll’allievo Sermoneta- in San Silvestro in Lauro), in Castel SantAngelo, nella Sala Paolina (dove lavorò con l’Agresti ). Morì a Roma nel 1547 e il suo epitaffio, nella cappella di San Giuseppe al Pantheon lo ricorda così:“Perino Bonaccursio Vagae florentino, qui ingenio et arte singulari egregios cum pictores permultos, tum plastas facile omnes superavit…”Pochi pochi anni dopo nella villa del Doria giunse un artista fiammingo, Jean Massys, che – oltre a ritrarre Andrea ( il dipinto è a Genova, Museo di Palazzo Bianco)- da disegni fatti sul posto ricavò poi (1561) quella “Flora”iche celebrando indirettamente il committente e Genova ci tramanda magnificamente l’immagine di quella villa così speciale.
Non che, in precedenza, di ville e giardini i genovesi abbienti, prima di A.Doria se ne privassero…:
“In verità, ripensando attentamente a questa città, mi convinco sempre di più che, se Venere vivesse di questi tempi, non abiterebbe più Cipro, il monte di Citera o il bosco Idalio,ma si stabilirebbe a Genova.Questo è, infatti, mi pare , il suo tempio”(Enea Silvio Piccolomini): infatti all’inizio del XV secolo,nei dintorni- valli e coste- della città medievale c’erano diverse ville con giardini favoriti dal clima e dell’ambiente naturale “e qui i signori mercanti custodiscono i loro tesori e le loro ricchezze.ed intorno a queste case vi sono belli e piacevoli giardini,pieni di aranci e melograni e di ogni altra spece di frutta insomma è un paradiso terrestre” (Jean D’Auton. 1502)
Tra le tante, citiamo qui almeno la villa eretta nel XIV per Pietro Fregoso, poi nel 1533
passata ad Antonio Doria – era non lontana da quella di Andrea-e a metà XVI secolo demolita per far posto alla costruzione della nuova cinta muraria(e Antonio si fece costruire una nuova dimora più vicina alla città antica: è il palazzo Doria Spinola “della Prefettura,in Largo Eros Lanfranco);la splendida villa/dimora dei Fieschi ( fatta distruggere da Andrea Doria dopo il fallimento della congiura fliscana)sul colle di Carignano, che il poeta umanista Paolo Pansa descrisse, nel 1526,in “Le Carignane”;la villa dei Cattaneo a Terralba,di cui nel 1502- coì come la villa Fieschi- fu ospite il re di Francia Luigi XII.Ma se il Piccolomini (1405/1464,)- uno dei più importanti umanisti del XV secolo, fondatore di Pienza, e che nel 1458 divenne Papa col nome Pio II- fosse stato a Genova nel XVI secolo anziché nel XV, visitando la Villa e il grandioso giardino del Doria avrebbe notato come si differenziavano dalle precedenti dimore……E se egli aveva scelto per Genova la dea Venere, anche l’artista Massys trasse spunto dall’Olimpo, ma scelse la dea Flora che collocò in un luogo preciso e riconoscibile- il giardino a monte della villa del Doria, con vista sul mare e la città, e in quella dea dal sorriso un po’ enigmatico(tra il suadente e il consapevole di se )-raffigurava allegoricamente la Genova del “Siglo de oro”…
Nel 1548, un anno dopo la morte di Perino ,anche il futuro imperatore Filippo II(figlio di Carlo V) fu ospite del Doria, il cui mecenatismo e autocelebrazione faceva sì che altri ricchi esponenti dell’oligarchia cittadina si dessero da fare per rinnovare e/o realizzare opere funzionali sia alla comodità da godere che all’immagine del proprio “status”- raggiunto e/o consolidato-da esibire “urbi et orbi”…Il Doria ne aveva dato vistoso esempio:nel vasto scenografico giardino della villa/reggia del Doria “ si fecero dinanzi al palazzo molte feste e giuochi, e fra l’altro si vedeva la figura, e rutundità, delmondo a modo di un globo dinanzi al palazzo con una corona d’oro sopra, dalla quale sempre che alcun Principe , o gran Signore, enteava in palazzo, uscivan tante rocchette con tanto rumore, che pareva si sparasse d’artiglieria”( così narrava A. Ulloa, autore di “Vita e fattidell’invitissimo imperatore Carlo V”).
Sempre nel 1548 giunse in città l’architetto perugino Galeazzo Alessi”probabilmente su iniziativa di Bartolomeo Sauli, e subito si mise al lavoro, sia per privati.la villa per Luca Giustiniani (poi Cambiaso), la Basilica di S.Maria di Carignano, sia per la Repubblica, che gli affida importanti incarichi: il restauro di San Lorenzo, la Porta del Molo. E’ un momento importante per genova, ancora città medievale, che va rinnovandosi cn una ricca nobiltà mercantile, che tende ad affermare la sua potenza anche attraverso la grandiosità architettonica. L’Alessi sarà l’interprete di questa esigenza della società genovese, soprattutto nelle ville,dopo quella dei Giustniani, la Pallavicini delle Peschiere e la Grimaldi ora praticamente distrutta e irriconoscibile troviamo le espressioni più originali di questo momento dell’architettura alessiana, planimetricamente complesse, anche se non particolarmente solenni, compositivamente interessanti e di grande ricchezza decorativa”(Emmina De Negri, in “Galeazzo Alessi”, Sagep Editrice, Genova, edito nel 1974 in occasione delle Celebrazioni Alessiane).Dunque ville nuove o rinnovate, giardini esterni scenografici e talvolta anche in bella vista sulle pareti: interne: come, ad esempio,quel “Paesaggio di villa”di Andrea Semino nel palazzo di Tobia Pallavicino in Strada Nuova.; inoltre nel corso del XVI secolo s’era vieppiù esteso l’uso,già in atto nei decenni precedenti, di impreziosire i prospetti medievali- solitamente caratterizzati da paramento a fasce banco/nere, e da logge in origine aperte ma poi spesso murate per ricavar più spazi utili e redditizi nella area portuale così fitta di case e commerci- con figure, grottesche, fregi , elementi architettonici “trompe l’oeil”, e figure o storie che”raccontavano” miti classici, gesta eroiche e personaggi dell’antichità greca e romana che erano, come intuibile, funzionali alle aspirazioni autocelebrative dei committenti . Alle facciate dipinte lavoravano vari “frescanti”- sia di provenienza lombarda che locali- tra cui i Calvi,i Semino, i Castello, e Luca Cambiaso. Molti affreschi parietali esterni sono andati purtroppo perduti nel corso dei secoli, ma la storia e le caratteristiche delle facciate dipinte genovesi venne “posta in luce” con la memorabile grande mostra “Genua picta”-corredata dal Convegno di studi e da visite tematiche- organizzata a Genova nella primavera 1982 al Palazzo della Commenda..
I figli di Agostino Calvi- pittore, di famiglia lombarda giunta a Genova nel XV secolo- Lazzaro e Pantaleo, che avevano potuto conoscere i modi di Perino nella villa doriana, lavorarono alla facciata del nuovo palazzo – iniziato nel 1541-di Antonio Doria,e in altri edifici genovesi tra cui quello della Meridiana(dove erano operanti anche Luca Cambiaso, Battista Parodi, il Bergamasco) e Palazzo Lercari Parodi in Strada Nuova;pittori furono anche i figli di Pantaleo, impegnati a terminare la decorazione del palazzo di Antonio Doria e a lavorare in ville presso la città (come alcune a Sanpierdarena, e nella villa Piantelli – con Bernardo Castello- in Valbisagno).
Lavoravano assai Ottavio e Andrea Semino ; idem G.B. Castello “Il Bergamasco”( attivo, tra l’altro, nella Villa Pallavicino delle Peschiere, in Strada Nuova, nella chiesa dei Doria in piazza San Matteo);Luca Cambiaso, nato a Moneglia nel 1527, aveva potuto ben presto respirare quel vento di novità che spirava dal “cantiere “ di Fassolo tramite chi ci aveva lavorato (Luca era quasi coetaneo di Lazzaro Calvi, uno dei collaboratori di Perino) e trarne stimoli per poi impegnare via via il proprio talento pittorico: con risultati straordinari, fin dagli affreschi nel palazzo di Antonio Doria e della Meridiana, a quelli nella villa delle Peschiere e nel palazzo Lercari,alle opere per chiese – tra cui cito qui almeno San Lorenzo,San Matteo, San Bartolomeo degli Armeni) e all’estero (morì nel 1585 in Spagna,al Sitio dell’Escurial dove aveva portato seco alcuni collaboratori tra i quali il figlio Orazio, il Granello, il Tavarone).Nel 1556 la ristrutturazione della chiesa della SS. Annunziata di Portoria fece sì che quel complesso diventasse un “cantiere artistico”, praticamente un museo dell’arte sacra del XVI a Genova;già era stato avviata la realizzazione del quartiere residenziale nobiliare di Strada Nuova, e nella città medievale si interveniva per dar spazio a nuovi edifici (per esempio, l’Imperiale in Campetto, la Loggia della Mercanzia e la chiesa di San Pietro a Banchi,…);il rinnovamento urbanistico e l’espansione in nuove aree, tra cui quella di Montalbano scelta per i palazzi di Strada Nuova, determinò la realizzazione – col lombardo Giovanni Maria Olgiati e Antonio da Sangallo; e per la Porta del Molo(1551/1559), con Antonio Roderio su progetto di Galeazzo Alessi- di un nuova cinta di mura che ricalcava in parte quella del XIV secolo; nel 1576, per disposizione del Senato genovese, vennero scelti e inseriti ufficialmente in 5 elenchi-i Rolli degli alloggiamenti pubblici-i palazzi più adatti, a seconda di capienza, imponenza,bellezza, ad ospitare personalità importanti(e relativo seguito)in visita a Genova , dato che la Repubblica non possedeva edifici propri da adibire a tal fine e le strutture ricettive comunque esistenti in città non potevano soddisfare le esigenze di quegli ospiti illustri (interessante è leggere quanto ha scritto Mauro Davì in “La città ospitale.Locande e alberghi a Genova dal ‘600 ad oggi”. Sagep, 1988).
Ovviamente architetti frescanti pittori decoratori scultori lasciavano grandi testimonianze del loro operato…..e dunque, proprio cogliendo lo spunto dal 2020 “raffaellesco” e dal fatto che sono trascorsi 20 anni dalla grande mostra genovese ( col suo ricco corredo di iniziative collaterali) dedicata al “Siglo de los genoveses”, sarebbe interessante (ri)scoprire e/o approfondire- sia a Genova che sul territorio ligure- quelle testimonianze d’arte, cultura, storia.
Maria Elisabetta Zorzi
Jean Massys; Flora con la veduta di Genova e i giardini della Villa del Principe. Stoccolma, Museo Nazionale
Veduta del Palazzo del Principe Doria a Fassolo(nella seconda metà del XVIII secolo). Incisione di A. Giolfi
Perin del Vaga: Caduta dei Giganti.Genova, Palazzo del Principe Doria,
Luca Cambiaso:Cavalcata dei Niobidi (particolare dell’affresco nel soffittodi un salotto), Genova, Palazzo Lercari in Strada Nuova (Via Garibaldi)
G.B. Castello detto Il Bergamasco: Erme, putti e festoni(particolare delle quadrature del soffitto nel Salotto di Apollo).Genova, Palazzo Pallavicini delle Peschiere