(tratto da “Faro” di Roma)
Padre Bergoglio dimostra di essere particolarmente affezionato all’origine piemontese della propria ascendenza paterna, ma non dimentica certamente che la famiglia di sua madre – di cognome Sivori – veniva dalla nostra Riviera di Levante, terra che ha dato ai Paesi delle Americhe innumerevoli figli adottivi.
Questa, e tante altre storie, fatte di consanguineità, di genealogie, di rapporti tra compaesani, hanno costituito l’argomento dell’Assemblea dell’Associazione tra i “Liguri nel Mondo”, che abbiamo celebrato a Genova.
Il nostro Sodalizio si propone di mantenere vivi e operanti i rapporti affettivi, spirituali e culturali che – sia pure a distanza di generazioni da quando tanti nostri concittadini si sono trasferiti in un Paese straniero – ancora permangono tra la terra di origine ed i suoi figli lontani.
Tanto più in questi tempi, in cui le diverse identità, ma in particolare – nel contesto dell’Europa Occidentale – quella regionale tornano ad affermarsi con forza nuova e inattesa.
Ci diceva il nostro Presidente, l’Ingegner Mario Menini, instancabile nell’inseguire su tutte le rotte del mondo il sangue disperso della Liguria, come vi siano discendenti di emigrati ormai di terza o quarta generazione che si considerano soltanto “genovesi” e non italiani, e lo proclamino ad alta voce.
Certamente su questo atteggiamento influisce l’essersi rivelata la Patria Grande matrigna nei confronti di tanti nostri concittadini: anche noi conosciamo per esperienza personale il dolore di chi non può mandare i propri figli ad una scuola che li educhi nella lingua e nella cultura degli avi, lo sforzo e il sacrificio necessario perché la nostra eredità spirituale venga tramandata.
Conosciamo però anche la soddisfazione e l’orgoglio nel constatare come la generazione successiva alla nostra – quella composta da “Hijos del Paìs”, come si dice in America Latina – dichiari di condividere l’appartenenza dei genitori e dei nonni.
Il Papa ricorda spesso l’importanza degli anziani nella formazione dei nipoti: che cosa è la storia – nella visione spirituale espressa dalla Bibbia – se non un succedersi di generazioni?
Questa parola ci riconduce all’atto stesso della trasmissione della vita, ma la generazione non costituisce soltanto un fatto fisico: essa riguarda il perenne rinnovarsi del pensiero, la vitalità inestinguibile dello spirito umano.
Ci deve essere in questa nostra terra un “genius loci” forte e potente, se persone lontane nello spazio, ed ormai remote anche nel tempo dalla loro provenienza, sentono il bisogno di venirlo a cercare, di attingere ancora linfa dalle loro più profonde radici.
Abbiamo dunque raccontato all’Assemblea dei nostri consoci una storia che di tutto questo da testimonianza: quella degli Italiani del Nicaragua, nostra Patria adottiva.
Si tratta di una vicenda che ha origini lontane, e che ha finito per intrecciarsi con la grande Storia economica e civile della Nazione.
Nella seconda metà dell’Ottocento, una famiglia genovese, quella dei Pellas (la “s” finale non costituisce una concessione all’ispanismo, essendo presente nel cognome fin dall’origine), decise di intraprendere una attività tanto importante quanto avventurosa e contraddistinta da un forte rischio di impresa.
Essendo ancora di là da venire lo scavo del Canale di Panama, iniziato soltanto nel 1903 e terminato nel 1915, mentre l’apertura della nuova via d’acqua alla navigazione commerciale avrebbe dovuto attendere la fine della Grande Guerra, i Pellas concepirono l’idea di un trasbordo dei passeggeri provenienti dall’Europa o diretti nel nostro Continente attraverso l’Istmo Centroamericano.
Si sbarcava dalle navi che avevano varcato l’Oceano nel porto atlantico nicaraguense di San Juan del Norte, poi si risaliva in barca il Rio San Juan, emissario del grande Lago Cocibolca (un mare interno esteso ventidue volte il nostro Lago di Garda), lo si attraversava con imbarcazioni più grandi e veloci, e una volta sbarcati sulla sua riva occidentale si procedeva in carrozza attraverso l’Istmo di Rivas per raggiungere lo scalo di San Juan del Sur, sul Pacifico.
Di lì si prendevano le navi dirette da una parte a San Francisco e dall’altra a Guayaquil, al Callao ed a Valparaiso.
Dopo avere gestito per decenni questo traffico, i Pellas lo cedettero ai Vanderbilt, i quali continuarono nell’impresa fino all’apertura del Canale di Panama.
Insieme con la famiglia promotrice dell’impresa, altre ne vennero chiamate a collaborare: i Parodi, i Frixione, i Marcenaro, i Mantica, i Palazio – tutti portatori di cognomi tipici delle nostre parti – i cui discendenti compongono attualmente l’aristocrazia economica del nostro Paese di adozione.
Tutti quanti i loro discendenti coltivano la memoria del luogo di origine, e con essa l’orgoglio di considerarsi ancora genovesi: i Palazio hanno anche mantenuto fino ad una generazione fa l’uso dell’italiano.
Quanto ai Pellas, sono tutt’ora la famiglia più importante nell’economia nazionale.
Ceduta la loro attività iniziale, decisero di investire gli enormi guadagni realizzati nella coltivazione estensiva della canna da zucchero e nella gestione tanto delle raffinerie quanto delle distillerie in cui si produce la bevanda nazionale: il rum.
Il nostro “Flor de Cana”, specie quello invecchiato dodici e perfino venticinque anni, è il migliore del mondo.
Essendo Genova la Capitale italiana dell’importazione di liquori, speriamo – con l’aiuto dell’Associazione – di farlo conoscere ai consumatori europei.
Nella famiglia Pellas, che ha diversificato le sue attività imprenditoriali in molti nuovi settori, estendendola a tutta l’America Centrale ed agli Stati Uniti, si alternano due nomi, secondo una tradizione tipica della Liguria: dopo il capostipite Carlos venne un Alfredo, poi un altro Carlos ed infine l’attuale titolare, “Don” – l’appellativo è di rigore nei Paesi ispanici – Alfredo, il quale ci onora della sua personale amicizia.
Durante una lunga conversazione, dedicata alle memorie familiari, ci confidò che avrebbe potuto collocare la sede del suo Gruppo ben più proficuamente in molti altri luoghi, ma aveva scelto Managua per via del legame affettivo con il Nicaragua.
Il grattacielo in vetro cemento dei Pellas domina il panorama della Capitale, ed alla sua sommità c’è un eliporto, da cui Don Alfredo spicca il volo diretto all’aeroporto di Managua oppure a Chichigalpa, centro della coltivazione della canna da zucchero e di tutte le attività industriali collegate: una ferrovia privata – l’unica ancora funzionante nel Paese – porta la mano d’opera dal centro urbano ai luoghi di lavoro, come pure il prodotto destinato alla commercializzazione.
Ad Alfredo Pellas e a suo padre Carlos si deve la sopravvivenza sotto il Governo sandinista di un settore privato nell’economia: le loro imprese non vennero mai espropriate – l’alternativa essendo costituita dalla completa rovina economica del Paese – e soprattutto essi imposero che fosse mantenuta la rete di negozi alimentari di quartiere dove il rum, come anche gli altri prodotti, venivano venduti senza esigere la tessera annonaria richiesta dai magazzini di Stato.
Per questo motivo, tutti indistintamente i nostri connazionali di adozione nutrono riconoscenza e stima verso i componenti di questa grande famiglia di radice genovese.
Alfredo Pellas, quando si annunzia la visita di una delegazione proveniente dalla Liguria, lascia ogni altro impegno per riceverla personalmente, conversando a lungo delle sue origini: non porta la “guayabera”, ma soltanto il vestito blu con la cravatta dello stesso colore che indossano i suoi colleghi genovesi quando si muovono tra piazza Banchi, piazza De Ferrari e via Venti Settembre.
A costoro, Don Alfredo assomiglia anche nelle fisionomia.
Ogni anno – ce lo ha confidato personalmente – viene a Genova a cercare le sue radici.
Essendo trascorse già quattro generazioni, si tratta certamente di radici profonde e tenaci.
Se c’è un Ligure nel Mondo che merita di essere premiato per il suo impegno non soltanto professionale, ma soprattutto civile, è Don Alfredo Pellas.
Per questo auspichiamo che l’Associazione gli conferisca il proprio ambito riconoscimento.
Che cosa insegna questa vicenda?
Che la gente ligure porta nel mondo tre qualità inconfondibili.
La prima di esse è la capacità di impegnarsi nella ricerca e nella esplorazione di nuove strade, di nuove possibilità, tanto nella vita economica come nella vicenda civile: Colombo, non a caso, era genovese.
La seconda è la capacità di radicarsi nei luoghi di adozione: nessuno è più terragno dei marinai.
La terza è la dedizione alla causa della nuova Patria, che non è il luogo dove si nasce, ma il luogo dove nascono i figli.
Come nostra figlia adottiva: non è nata nel nostro letto e non scorre nelle sue vene il nostro sangue, ma è la persona che in Nicaragua parla e scrive meglio la lingua italiana, imparata grazie agli studi compiuti nel Paese di suo padre.
Noi proponiamo che sia la Dottoressa Dina Bonilla Castellano ad assumere la Segreteria dei Liguri nel Mondo del Nicaragua.
Don Alfredo Pellas sarà certamente d’accordo con questa scelta.
Di questo e di tanti altri argomenti avremo comunque modo di parlare con lui a Genova.
Mario Castellano